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Accesso Illimitato Al Padre


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Di David Wilkerson
8 Gennaio 2001
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"Secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Cristo Gesù; nel quale abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui" (Efesini 3:11-12).

I figli di Dio hanno uno dei maggiori privilegi mai ottenuti dall'umanità. Abbiamo il diritto, il coraggio e la libertà di accedere alla presenza del nostro Signore in qualsiasi momento.

Il nostro Padre celeste siede su un trono nell'eternità. E alla sua destra siede il figlio, il nostro benedetto Signore e Salvatore Gesù. Fuori dalla stanza del trono, ci sono porte che per noi che siamo in Cristo sono continuamente aperte. In qualsiasi momento - di giorno o di notte - possiamo sorpassare gli angeli guardiani, i serafini e tutto l'esercito celeste per entrare coraggiosamente ed accostarci al trono del Padre. Cristo ci ha provveduto accesso diretto al Padre, per ricevere tutta la misericordia e la grazia di cui abbiamo bisogno, non importa in quali circostanze ci troviamo.

Ma non sempre è stato così. Nell'Antico Testamento, nessuno poteva avere accesso al Padre, tranne poche eccezioni. Per esempio, sappiamo che Abrahamo godette l'accesso al Signore. Quest'uomo devoto fu definito amico di Dio. Udì il Signore parlare, Gli parlò a sua volta, ed ebbe comunione con Lui.

Eppure persino Abrahamo rimase "al di fuori del velo". Nonostante fosse amico di Dio, non poté mai entrare nel luogo santissimo, nella residenza di Dio. Il velo spirituale di separazione non era ancora stato strappato in due.

Ad un certo punto della storia d'Israele, Dio dichiarò che avrebbe parlato ai profeti per mezzo di visioni e sogni: "Se vi è tra di voi qualche profeta, io, il SIGNORE, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno" (Numeri 12:6).

Questo era un accesso a Dio molto ristretto. Eppure, ancora un volta, ci fu un'eccezione: Mosè, il leader d'Israele. Dio disse di lui: "Non così con il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa. Con lui io parlo a tu per tu, con chiarezza, e non per via di enigmi; egli vede la sembianza del Signore" (12:7-8). Come Abrahamo, anche Mosè parlò con Dio, e Dio parlò con lui. Trascorse quaranta giorni e quaranta notti alla presenza del Signore, finché il suo volto risplendette.

È chiaro che Mosè ebbe un grande potere di accesso.

Ma il resto del popolo non conosceva questo tipo di accesso. Il Signore disse loro: "All'ingresso della tenda di convegno, davanti al Signore, io vi incontrerò per parlare con te. Lì mi troverò con i figli d'Israele e la tenda sarà santificata dalla mia gloria" (Esodo 29:42-43).

A nessuno era permesso di entrare nel luogo santissimo, dove risiedeva la presenza di Dio. Solo il sommo sacerdote poteva entrarvi, un solo giorno all'anno, nel Giorno dell'Espiazione. Perciò, il popolo doveva portare i sacrifici all'entrata del tabernacolo. Potevano spiare attraverso la porta, ma non potevano contemplare appieno ciò che vi era. Potevano solo stupirsi della maestà della gloria di Dio che vi dimorava.

Ancora una volta, questo era un accesso molto ristretto. Era come se Dio stesse dicendo loro: "Venite all'ingresso, e vi incontrerò lì. Poi potremo parlare". Non erano invitati ad entrarvi. Il Signore parlava loro dall'ingresso della porta del tabernacolo. Immaginate di poter comunicare ad un amico intimo in questo modo?

All'interno del tabernacolo, un velo separava il luogo santo da quello santissimo. Avvicinandosi a quel velo, il sacerdote tremava. Era tremendo aver accesso alla gloria di Dio. Bastava commettere un minimo errore, per poter essere sterminati. La santissima presenza di Dio non poteva coesistere con il benché minimo peccato.

Immagino che il Giorno dell'Espiazione fosse un evento tremendo. In quel giorno, tutti i figli d'Israele si riunivano davanti alla porta del tabernacolo. Era la stessa porta da cui Dio condannò Miriam per aver messo in discussione la guida di Mosè, e Dathan e Abiram per essere insorti contro Mosè.

Ora le moltitudini rimanevano esterrefatte mentre Aronne, il sommo sacerdote, entrava nella stanza mistica per incontrare l'Iddio onnipotente. Avevano sentito dire cosa succedeva all'interno. Ma continuavano a domandarsi: "Come dovrà essere lì dentro? Il Signore ha una forma visibile? La sua voce è come quella tremenda che udimmo sul Monte Sinai? È un tipo dolce e gentile, oppure incute terrore?"

Persino Davide, il più dolce salmista d'Israele, ebbe un accesso ristretto a Dio. Le Scritture ci dicono che ebbe comunione con Dio. Conosceva Dio quale suo rifugio, difensore, protettore e forza. Nessuno parlò di Dio in maniera più maestosa o potente di quanto fece quest'uomo. Eppure, Davide non ebbe mai il privilegio di entrare nel luogo santissimo. In tutti i Salmi, Davide parla di desiderare e anelare Dio. Avrebbe voluto oltrepassare il velo, ma non poté mai farlo: "Un abisso chiama un altro abisso" (Salmo 42:7).

Anche Salomone espresse questo tipo di desiderio insoddisfatto: "L'amico mio ha passato la mano per la finestra, il mio amore si è agitato per lui. Mi sono alzata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulla maniglia della serratura. Ho aperto all'amico mio, ma l'amico mio si era ritirato, era partito. Ero fuori di me mentr'egli parlava; l'ho cercato, ma non l'ho trovato; l'ho chiamato, ma non mi ha risposto" (Cantico dei Cantici 5:4-6). Troviamo qui il linguaggio di un desiderio divino: "L'ho desiderato, l'ho chiamato, l'ho voluto. Ma non l'ho trovato".


Israele vide che Dio dimorava
nel tempio, in una stanza
chiamata Luogo Santissimo.


Salomone costruì un tempio maestoso a Gerusalemme, affinché contenesse la Gloria di Dio. Quando la struttura fu terminata, "vi portò dentro tutte le cose che Davide suo padre aveva dedicato; e l'argento, l'oro e tutti gli utensili... e vi portarono l'arca.. nel suo posto... nel luogo santissimo" (2 Cronache 5:1,5,7). Dopo che tutto fu al suo posto, Salomone invitò Dio a venire e a santificare il luogo santissimo con la sua presenza. E Dio lo fece, discendendo in una nuvola e riempiendo il tempio.

Tutti in Israele credevano che Dio risiedesse nel gran tempio di Gerusalemme. Perciò, gli Israeliti dirigevano le loro preghiere verso di esso. Salomone chiese al Signore: "Quando il tuo popolo partirà per far guerra al suo nemico, seguendo la via per la quale tu l'avrai mandato, se t'innalza preghiere rivolto a questa città, che tu hai scelta, e alla casa che io ho costruita al tuo nome, esaudisci dal cielo le sue preghiere e le sue suppliche, e fagli ottenere giustizia" (2 Cronache 6:34-35).

Salomone stava chiedendo: "Signore, quando il nostro esercito andrà in guerra contro i nemici, ascoltalo mentre eleverà a te la preghiera da questo luogo, nel tuo tempio. Da' loro successo in battaglia". Pensavano quindi che Dio non fosse sul campo di battaglia, ma solo in quel luogo santo a Gerusalemme.

Inoltre, quando Israele sarebbe stato esiliato, avrebbe dovuto "pregare verso il loro paese.. e verso la casa che ho costruito per il tuo nome.. e tu esaudiscili dal cielo" (6:38-39). Fu per questo motivo che Daniele aperse le sue finestre a Babilonia e pregò nella direzione di Gerusalemme (vedi Daniele 6:10). Una volta mi trovavo sull'aereo quando un Ebro Ortodosso indossò il suo scialle della preghiera, si alzò in piedi e pregò rivolto nella direzione di Gerusalemme.

Eppure, nonostante la gloria di Dio nel tempio - nonostante le visioni ed i sogni dati ai profeti, nonostante le visitazioni degli angeli - il popolo di Dio rimaneva al di qua del velo. L'accesso al luogo santissimo non era ancora aperto, ma era ristretto.


Gesù portò con sé un grande accesso


La vita di Cristo nella carne umana portò un grande accesso al Padre.

Ma anche a quei tempi, l'accesso era molto ristretto. Quando Gesù venne nel mondo come un bambino, erano presenti solo poche persone, un pugno di pastori e di saggi. Il resto dell'umanità non sapeva niente della sua venuta. Nel tempio di Gerusalemme, i sacerdoti continuavano ad essere impegnati nei propri doveri e la gente continuava a ripetere le preghiere; tutti proseguivano nella routine quotidiana.

Quando Gesù crebbe e divenne un ragazzo, furono pochi a vederlo nel tempio. Per la maggior parte erano sacerdoti e scribi, i quali si meravigliarono della sua conoscenza della parola di Dio. Ma il pubblico generale non lo conosceva. Più tardi, alcuni lo incontrarono nella bottega di falegname nella quale lavorava. Ma chi poteva credere che Gesù era Dio in carne, mentre riparava le sedie rotte? Era semplicemente il figlio di Giuseppe, un bravo ragazzino che ne sapeva un sacco a proposito di Dio.

Quando Gesù iniziò il suo ministero, diresse i suoi discorsi ad una piccola popolazione di un minuscolo paese - cioè, alle pecore perdute della casa d'Israele. E poiché non aveva il dono dell'ubiquità, anche per lui l'accesso era ristretto per motivi logistici.

Se aveste voluto vedere Gesù, sareste dovuti andare a Giuda. Perciò, se vivevate fuori da Israele, dovevate viaggiare per giorni o settimane in barca, cammello o a piedi. Poi dovevate rintracciare la sua presenza in un villaggio, trovare qualcuno e chiedergli di localizzare il Maestro. Oppure, se aveva appena lasciato quel paese, dovevate chiedere in giro per sapere dov'era andato. Forse dovevate pure noleggiare una barca per farvi portare dall'altra sponda del lago, o dovevate camminare giorno e notte per raggiungere il deserto nel quale insegnava alle folle.

Una volta rintracciato Gesù, dovevate stargli fisicamente vicino per ascoltare la sua voce, sentire il suo tocco ed essere benedetti dalla sua santa presenza. Potevate anche farvi strada fra la folla, ma anche gli altri gli volevano stare vicino.

Questo era un accesso molto ristretto. Per stare vicino al Signore, bisognava trovarsi nel luogo esatto al momento opportuno. Considerate quel cieco che sentì passare Gesù. Quando quest'uomo apprese chi stava passando, si mise a gridare: "Gesù, guariscimi, affinché possa vedere". E solo allora Cristo lo guarì.

Oppure considerate la donna dal flusso di sangue. Si dovette far strada fra la folla per toccare il lembo dei vestiti di Gesù. E nel mentre, tutti cercavano di toccarlo allo stesso modo.

C'era anche quella mamma di Nain, che guidava una processione funeraria per andare a seppellire suo figlio. Quando Gesù incrociò il suo cammino, toccò la bara e risorse il fanciullo dalla morte.

O pensate a quell'uomo impotente che si trovava alla piscina di Bethesda, nel mercato delle pecore. Molti malati ed oppressi si erano radunati in quel luogo per essere guariti. Ma questo si trovò nel posto giusto al momento giusto. E mentre Gesù passava, lo guarì.

Spesso si doveva calcolare o progettare con molto tempo di anticipo il modo per accedere al Signore. Zaccheo fece così, salendo su un albero soltanto per vedere Gesù. Quattro altri uomini risolsero un simile problema logistico, per amore di un amico malato. Dopo aver localizzato l'edificio in cui Cristo stava insegnando, fecero un buco nel tetto e vi calarono l'amico davanti agli occhi di Gesù.

Ma Gesù, in un improvviso e glorioso momento, provvide un accesso totale ed illimitato al Padre. La Bibbia dice che al Golgota, su quella croce insanguinata, "Gesù, avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito. Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo" (Matteo 27:50-51).

Nel momento della morte di Gesù, il velo del tempio di Gerusalemme si squarciò letteralmente in due. In quel momento il nostro destino fu segnato. Nell'istante in cui il nostro Signore rese lo spirito, abbiamo ottenuto un accesso totale ed illimitato al luogo santissimo: "Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù, per quella via nuova e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne" (Ebrei 10:19-20).

Questo squarcio della cortina fisica rappresentava quello che era avvenuto nel mondo spirituale. Infine, abbiamo avuto la possibilità di godere quello che le generazioni passate non ebbero il privilegio di avere. Abbiamo avuto un privilegio di avere quello che persino Abrahamo, Mosè e Davide non ebbero. Abbiamo avuto accesso al luogo santissimo, al trono dell'Iddio onnipotente. La porta non ci è più chiusa. Tutti possono vedere all'interno e camminarvi. Ci è stato dato accesso illimitato.

Inoltre, alla sua morte, Gesù è diventato il nostro sommo sacerdote. È asceso alla Nuova Gerusalemme, ad un tempio non fatto di mano d'uomo. Lì ha preso il ruolo di nostro sommo sacerdote. È entrato dritto nella santa presenza di Dio e con l'incenso delle sue intercessioni, ha presentato il suo sangue al trono di grazia. Poi si è seduto alla destra del Padre, con ogni potenza e gloria.

A quel punto, Gesù ha reclamato il suo diritto di ricevere in un corpo spirituale tutti quelli che si sarebbero pentiti e lo avrebbero ricevuto come Signore. Ed ha inviato lo Spirito Santo per dire ai suoi figli: "Ho aperto la porta al Padre. Adesso siete ben accetti semplicemente venendo a me per fede. Perciò entrate con fermezza al trono. Vi porterò alla presenza del Padre mio, che adesso è anche Padre vostro. Avete accesso illimitato, giorno e notte".


Questo è il dolore, la tristezza e l'amarezza
dell'anima di Gesù


Qual è il più gran dolore che l'anima di Cristo abbia mai sperimentato? Credo che sia quello procuratogli da una generazione che ha un accesso pieno ed illimitato, ma non lo sfrutta.

Per secoli, il popolo di Dio ha implorato di poter entrare nella cortina. Ha desiderato ed anelato vedere la benedizione dei nostri giorni. L'accesso di cui oggi godiamo è lo stesso accesso che implorava Mosè. È lo stesso accesso che il cuore di Davide avrebbe voluto vedere. È lo stesso accesso che Daniele non ebbe, nonostante pregasse il Signore tre volte al giorno. I nostri progenitori videro quello che sarebbe avvenuto ai giorni nostri, e gioirono per noi.

Eppure noi che abbiamo il diritto a questo dono meraviglioso, lo diamo per scontato. La porta ci è stata aperta, ma noi rifiutiamo di entrarvi per giorni ed a volte anche settimane. Che crimine! Ogni volta che ignoriamo l'accesso che Gesù ha comprato per noi, stiamo volutamente ignorando quella porta, e prendiamo alla leggera il suo sangue. Il nostro Signore ci ha detto che avremmo avuto tutte le risorse di cui avremmo avuto bisogno, se solo fossimo andati a lui. Eppure continuiamo a snobbare il suo dono costoso.

Le Scritture ci ammoniscono: "Avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell'aspersione che li purifica da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse" (Ebrei 10:22-23). Questo passo ci parla chiaramente di preghiera. Dio ci sta spingendo: "Entra alla mia presenza quotidianamente. Non puoi mantenere la tua fede, se non ti accosti a me. Se non entri alla mia presenza, la tua fede vacillerà".

Forse conosci dei cristiani che una volta erano infuocati per Gesù. Davano sempre il meglio del loro tempo al Signore, cercavano la sua parola e si appartavano con lui. Sapevano avvicinarsi a lui per mantenere viva la loro fede.

Eppure adesso questi stessi cristiani "pensano" semplicemente le loro preghiere. Oppure corrono alla presenza di Dio per pochi minuti, soltanto per dire: "Ciao, Signore. Ti benedico. Per favore, guidami oggi. Ti amo, Gesù. Arrivederci". Il loro cuore pieno di ricerca è svanito. La comunione pacata di cui godevano non c'è più. Quando chiedete loro come mai hanno abbandonato quella vita di preghiera, vi rispondono che stanno "riposando sulla fede".

Vi dico, cari miei, che chi non prega manca presto di fede. Più si dimentica il dono di accesso, rifiutando di attingere alle provviste di Dio, più ci si allontana da Lui.


Gesù pianse su Gerusalemme
prima di ascendere al cielo


Quando Gesù camminò sulla terra, si rese accessibile a tutta la popolazione. Insegnò nelle sinagoghe, sulle colline, sulle barche. Guarì i malati, operò prodigi e miracoli. Alzò la sua voce nelle feste, gridando: "Io sono l'acqua vivente. Venite a me, ed io soddisferò la vostra anima assetata". Tutti gli si potevano avvicinare ed essere soddisfatti.

Ma l'invito del nostro Signore fu alquanto ignorato. Egli pianse per quel popolo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!" (Matteo 23:37). Stava dicendo ad Israele: "Io sono qui adesso, a tua disposizione! Ti ho detto di venire a me per essere guarito e per ricevere la risposta ai tuoi bisogni. Ma non sei voluto venire".

Come rispose Gesù al rifiuto del popolo? Dichiarò: "Ecco, la vostra casa sta per essere lasciata deserta" (23:38). La parola che Gesù usa per desolata in questo contesto significa sola, infruttuosa, abbandonata. Stava dicendo in poche parole: "La vostra vita di chiesa, la vostra famiglia, il vostro cammino spirituale - tutto si inaridirà e morirà".

Pensateci un po'. Se i genitori non cercano Dio quotidianamente, i loro figli certamente non lo faranno al posto loro. Al contrario, quella famiglia pian piano si riempirà di mondanità, di aridità spirituale e di una solitudine indescrivibile. Alla fine, quella famiglia finirà nella desolazione totale.

Tenete ben in mente che Gesù pronunciò questi avvertimenti in un giorno di grazia. Egli aggiunse: "Infatti vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" (23:39). Il significato qui è: "Vi ho dato tutto l'accesso di cui avete bisogno per vivere una vita vittoriosa. Ma avete ignorato la mia offerta. Mi dispiace, ma la vostra decisione porterà desolazione nella vostra vita e nella vostra famiglia. E non mi vedrete più per l'eternità".

Quando è stata l'ultima volta in cui siete andati da Dio per trovare tutto ciò di cui avevate bisogno? Avevate problemi, eravate in crisi con la famiglia, col lavoro o con la salute? Non c'è niente di sbagliato se andate a Dio nei momenti di urgente bisogno. Isaia scrive: "Signore, essi, nell'angoscia ti hanno cercato; si sono effusi in umile preghiera, quando il tuo castigo li colpiva" (Isaia 26:16). Il Salmista testimonia: "Io grido con la mia voce al Signore; con la mia voce supplico il Signore. Sfogo il mio pianto davanti a lui, espongo davanti a lui la mia tribolazione" (Salmo 142:1-2).

Il nostro Signore è un padre che si preoccupa profondamente dei problemi di tutti i suoi figli. Ogni qualvolta affrontiamo dei momenti tristi, ci incoraggia ad avvicinarci a Lui, dicendo: "Vieni, dammi tutti i tuoi problemi, i tuoi bisogni e le tue lamentele. Io ascolterò il tuo grido e ti risponderò".

Eppure, per molti cristiani questo è l'unico momento in cui accedono alla presenza del Padre. Io vi chiedo - dov'è il desiderio di Dio descritto da Davide, la sete di trovarsi nella presenza del Signore? Dov'è il ministrargli quotidianamente, l'effusione del cuore in amore ed adorazione?


I cristiani che non pregano
non si rendono conto del pericolo in cui si trovano


Forse obietti: "Che c'è di male se alcuni cristiani non pregano? Sono sempre dei credenti - lavati dal sangue, perdonati e in cammino verso il cielo. Qual è il pericolo di crescere in un po' di tiepidezza?"

Credo che il nostro Padre celeste si rende conto che viviamo in un'epoca indaffarata, in cui investiamo al massimo il tempo e le energie. E anche i cristiani sono coinvolti come gli altri negli affari e nelle attività. Eppure non credo che Dio prenda alla leggera il nostro diniego del suo accesso, che è costato al Suo unico Figlio la vita.

Dio ha reso Cristo la nostra roccaforte. Ma solo coloro che "corrono in essa" sono al sicuro (vedi Proverbi 18:10). Se non ci entriamo, siamo sempre fuori dalla porta. Ci troviamo nel posto in cui era pure Israele. Ma Dio non esce più fuori dalla porta ad incontrarci. Tutto quello che ci serve è all'interno: perdono dei peccati, misericordia in tempo di bisogno, potenza per vincere.

Immaginate il dolore del rifiuto che possono sentire il Padre ed il Figlio. Riesco a percepire questa conversazione fra di loro:

"Figlio, sei stato picchiato, ingiuriato, crocifisso e sepolto. Mi ha così addolorato che ho dovuto chiudere gli occhi a quella vista. Eppure hai adempiuto il patto eterno. Hai provveduto l'accesso a tutti coloro che credono in te. Grazie a te, il popolo degli ultimi tempi può entrare alla mia presenza. E può crescere in forza, incamerando riserve di fede contro un diavolo che lo tenterà e lo metterà alla prova come non ha mai fatto prima".

"Eppure dove sono i nostri amati figli? È trascorso il lunedì, e non li abbiamo visti. Arriva il martedì, ma non arrivano. Passa il mercoledì e non si vedono proprio. Giovedì, venerdì e sabato non si avvicinano. Vengono soltanto di domenica, mentre sono in chiesa. Ma perché? Forse non ci amano?"

Dio pose ad Adamo la stessa domanda quando lo vide nascondersi dalla sua presenza nel Giardino dell'Eden: "Adamo, dove sei?" (Genesi 3:9). Il Signore sapeva dove si era nascosto Adamo. Ma in realtà stava chiedendogli perché avesse rifiutato la sua comunione. E voleva mostrargli quale pericolo correva nascondendosi dalla sua presenza.

Allo stesso modo, i cristiani che non si appropriano dell'accesso al Padre finiscono nella stessa triste condizione della chiesa di Sardi. Il Signore istruì Giovanni: "All'angelo della chiesa in Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette Spiriti di Dio.. Io conosco le tue opere, so che tu hai apparenza di vita ma sei morto" (Apocalisse 3:1).

Gesù stava dicendo: "Forse puoi anche essere una brava persona, qualcuno che non fa del male agli altri. Godi di una buona reputazione nella chiesa e nel mondo. Gli altri sanno che sei vivo in Cristo e benedetto da Dio. Ma nella tua vita c'è un elemento di morte. Qualcosa del mondo ti ha contaminato".

"Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti" (3:4). Qual è la contaminazione a cui si riferisce qui? È la mancanza di preghiera. E Gesù ci avverte: "Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio" (3:2).

I credenti di Sardi non stavano vegliando. Non pregavano, non aspettavano il Signore, non lo cercavano come avevano fatto in passato. Al contrario, stavano crescendo nella freddezza, e non andavano a Dio ogni giorno per chiedergli aiuto. Quindi si erano contaminati. La parola che Gesù usa per "contaminazione" significa qui un segno nell'anima, una macchia nera su un vestito bianco. Cristo ci sta dicendo: "La tua negligenza ti macchia i vestiti".

Eppure Gesù dichiarò a pochi: "Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in bianche vesti, perché ne sono degni" (3:4). Stava dicendo: "Avete ancora una fiammella di desiderio per me. Non volete perdere la mia presenza, non volete la desolazione. Sbrigatevi, riattizzate nuovamente la vostra fame. Ritornate alla vostra stanzetta di preghiera, e invocatemi. Riattizzate la fiamma della fede prima che si spenga - prima che l'anima muoia, come è successo a tanti intorno a voi".

Non ignorare il tuo grande dono d'accesso. Il tuo futuro eterno dipende da esso. Prega e cerca il Signore. Lui ti ha provveduto l'accesso. Ed ha promesso di soddisfare ogni tuo bisogno.

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Permesso per l'uso concesso da World Challenge, P.O. Box 260, Lindale, TX 75771, USA.


Tradotto in Italiano da Susanna Giovannini - Formattato HTML da Renato Giliberti

Tutte le citazioni sono tratte da "La Sacra Bibbia Nuova Riveduta"
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